La nostra storia

"La Nostra Storia" di Sergio Puttini

Parafrasando una nota pubblicità, potremmo dire che se gli stabilimenti non avessero un’anima sarebbero solo capannoni, macchinari e attrezzature, identificati dall’arida lettura di bilanci in cui ROL, MOL, ROI, ROS, ecc. ne danno un ritratto sterile, utile solo ad analisti, bancari e banchieri.

Se, invece, l’azienda ha a capo una persona, una famiglia, quell’azienda ha un cuore e un’anima, e questa è la fortuna della Saces: quella di avere sempre avuto il sostegno non di una ma di due famiglie.

Nel febbraio del 1972 i fratelli Piero e Sergio Puttini, concretizzando il distacco da quella che era stata l’azienda paterna, fondarono la Saces S.r.l., stabilendone il primo insediamento in Napoli al Corso A. Lucci, dove, tuttora, la società ha la propria sede legale.

L’azienda, operante nel settore della fornitura alle imprese di pavimenti, rivestimenti, igienici, sanitari e rubinetterie, consolidava la vendita dei prodotti Mapei, con la quale aveva mantenuto i rapporti commerciali e personali iniziati già nei primi anni sessanta. E qui come non ricordare il cuore e l’anima del sig. Rodolfo Squinzi ed il sorriso della signora Elsa ? Il sig. Rodolfo, quando lo scrivente Sergio Puttini si recava a Milano nella sede della Mapei, con cadenza quasi mensile, dopo un saluto ruvido ma cordiale, si rituffava tra gli operai dai quali, per chi non lo conoscesse, era difficile distinguerlo.

La signora Elsa mi accoglieva invece con un sorriso e mi faceva comprendere che ero sempre il benvenuto, facendomi sentire parte della famiglia e non solo un cliente dell’azienda. Qualcuno mi potrà chiedere “…ma il dottor Giorgio Squinzi nei primi anni sessanta cosa faceva ?…” Bruciava le tappe per laurearsi in chimica e si affacciava in azienda avendo, fin da allora, la visione di quello che negli anni seguenti sarebbe diventata la Mapei: una holding internazionale a conduzione familiare Ed io in quella famiglia ci entrai…come ?

Il signor Rodolfo, rassicurato dal fatto che avessi una moglie bergamasca, anzi valligiana di Gazzaniga in Val Seriana (dove è nata la Lega, tanto per intenderci) riteneva che una donna di quelle terre avrebbe saputo tenere sempre in riga il giovane meridionale, amante del mare e delle barche, e mantenerlo sulla retta via del lavoro col detto “lavorare sempre, non arrendersi mai, qualunque fossero le difficoltà da affrontare”. Alla fine mare, barche e lavoro si conciliarono e la Saces, presa la giusta rotta ed a gonfie vele, spesso navigando di bolina, intraprese il viaggio verso la linea dell’orizzonte, che vedi sempre davanti a te, ma non riesci a raggiungere.

Insomma, sempre avanti, percorrendo ogni anno qualche miglio in più per raggiungere una meta alla quale non si arriva mai, per non sentirsi arrivati. Guai a sedersi sugli allori, guai a mollare le scotte, di poppa c’è gente che rema come dannati per superarti o speronarti. L’altra famiglia su cui ho potuto contare è stata la mia. Una moglie sempre presente, vigile e paziente che non mollava mai i figli i quali con l’età crescevano un po’ turbolenti con la passione delle moto da cross Husqwarna, Aprilia, KTM le loro preferite (insieme a bionde, brune, more).

Malgrado avessero ascendenti bergamaschi, erano più di mare che di montagna e finalmente decisero di imbarcarsi sulla nave Saces: Paolo in amministrazione e Giuseppe al commerciale, non prima di aver fatto un lungo tirocinio tecnico alla Mapei sotto la guida del geom. Bovio, di quel periodo è la sua foto sul frontespizio del primo numero di “Realtà Mapei”.

Con l’apporto di nuove forze e l’inserimento di giovani e valenti collaboratori si navigò molto più speditamente per il conseguimento e la realizzazione di un lascito testamentario; mio padre, uomo di mille idee ed altrettante iniziative, poco prima di morire mi disse testualmente: - Sergio, lascia tutto, tieniti solo il “maresciallo” (carabiniere in pensione addetto alla contabilità ed al magazzino), Vittorio (autista), il bollettario delle consegne in tasca e vendi solo Mapei…- Mi si aprì la mente; illuminazione, folgorazione, ma quella, dentro di me, era la direzione a cui inconsciamente mi ero sempre diretto. Ed oggi, seduto alla mia scrivania, lo vedo guardarmi dalla sua foto, ammiccante e sorridente da sotto il suo cappello di comandante di Marina (chissà da chi hanno ereditato Giuseppe e Paolo la loro passione per il mare…) e mi sembra sentirlo mentre mi dice: - Bravo...bravo…-.

Ed ora che mi muovo nello stabilimento di San Giovanni (dove per anni abbiamo prodotto la Multimalta, un predosato di estrema versatilità dotato di eccellenti caratteristiche di resistenza al fuoco, di nostra esclusiva ideazione e formulazione), mentre stanno smantellando tutto, salutato con deferenza dagli operai (così come si conviene ad un vecchio “masto”) o girovago negli spazi ampi e luminosi del nuovo stabilimento di Marcianise, sempre sognato e da sempre voluto, quella linea sull’orizzonte mi sembra più vicina, ma pur sempre irraggiungibile. Effetto dell’età o dei nuovi occhiali ? In attesa che qualche nipote mi renda bisnonno, per guardarmi le spalle da possibili assalitori, a poppa della nave ho messo la new-entry della famiglia Squinzi, Matilde: “Remate…remate…tanto qui non ci arrivate !…”

Ma adesso mi fermo qui altrimenti, tra qualche anno, se devo aggiungere nuovi capitoli a questa storia, mi trovo a corto di argomenti. Prima di concludere, però, voglio ricordare e ringraziare tutti quelli che hanno permesso la realizzazione dei miei sogni: il signor Rodolfo Squinzi, mio padre Giuseppe, mio fratello Piero, che divergendo da me sulla sola opzione Mapei mi lasciò libero di andare, l’ingegner Antonino Dal Borgo, inventore del Kervit, la piastrella in ceramica più sottile al mondo, che in soli tre millimetri di spessore racchiudeva caratteristiche tecniche superlative: era ingeliva, antiacida, non cavillava, aveva un solo difetto (se tale si può definire) con i sistemi dell’epoca non si riusciva a farla attaccare al supporto. Per cui si tentò di produrre il primo collante, prima alla Ceramica Veggia di Sassuolo, e subito dopo alla Mapei in via Cafiero a Milano.

Il primo collante fu battezzato Adesilex P9, meglio conosciuto come semplicemente P9 fu da subito il protagonista del cambiamento nel sistema di posa delle ceramiche che, nel frattempo, si stavano evolvendo con nuovi prodotti e, soprattutto, con nuovi sistemi produttivi. Nell’avellinese il P9 fu, per anni, l’unico collante usato non solo per incollare piastrelle, ma anche come additivo consolidante per intonaci, massetti, malte per murature e quant’altro.

Al museo delle piastrelle di Sassuolo è esposto il Kervit, futuristico prodotto di oltre 50 anni fa; chissà se i cinesi non ci facciano un pensierino e lo riproducano, del resto il processo produttivo è semplicissimo. Con il Kervit ha in comune la radice del nome l’altro e più famoso collante: il Kerabond. Come non ricordare i posatori che per primi incominciarono ad attaccare le piastrelle con il P9: Raffaele Pellegrino, con la sua squadra di posatori di Villa di Briano; Paoluccio Amato; i “Comune” di Giugliano; i Pasqualini, con particolare riguardo al sig. Rolando; …e chissà quanti altri di cui mi sfugge il nome, che abbandonarono pozzolana, calce e cemento per passare al P9, facendo stabilire alla Saces ed alla Campania il primato di essere la prima regione in Italia ad aver adottato il collante. Altro primato: la Saces consumava più collante di tutta l’Italia messa insieme.

Gli ultimi ad adottare il collante (per non smentire il detto nessuno è profeta in patria) furono i bergamaschi. Conviene qui ricordare il mitico Middei che, per tre volte alla settimana, con un solo camion ed un solo autista (lui) portava la colla da Milano a Napoli. Come non ringraziare le donne di casa, mia moglie Mariù e mia figlia Antonia che, anche se non partecipano alla vita attiva dell’Azienda ne sono un po’ l’anima, mantenendo gli equilibri interni alla famiglia, che ora conta anche cinque nipoti.

Qualche lettore più a conoscenza dei fatti incomincerà a chiedersi se io non abbia dimenticato qualcuno. No, no…il dott. Giorgio Squinzi io non lo ho dimenticato, ho incominciato con il padre Rodolfo, e continuo con lui, la sua famiglia, la mia famiglia, questa lunga navigazione senza fine, sempre avanti, a tutto vapore. Dirò solo, senza dilungarmi, che, se io sono quel che sono e la Mapei è quel che è, il merito è da ascrivere a lui.